(0) Commentigiovedì 17 ottobre 2019
Il mese di ottobre, mese missionario, ha visto quest'anno
l'Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per la regione
Panamazzonica, il cui scopo principale, indicato da papa Francesco
il giorno dell'annuncio, è quello di individuare strade per
l'evangelizzazione di quella porzione di popolo di Dio.
Un tema, questo, che avrebbe affascinato Lucia
Schiavinato, che se ha sempre vissuto "con tutto il mondo nel
cuore": nel suo cuore il Brasile, e l'Amazzonia in particolare,
hanno avuto un posto privilegiato.
Fin dalla prima giovinezza Lucia si è ritrovata un animo
missionario. Questa tensione seppe viverla in parrocchia, in
diocesi e in Italia, dentro a tante realtà di sofferenza ed
emarginazione. Fu il Concilio Vaticano II che le dilatò
ancor più gli orizzonti della missione, aprendola
all'America Latina, grazie all'amicizia con il vescovo di Verona
Mons. Giuseppe Carraro, molto sensibile alla dimensione
missionaria.
"Lucia guardò attentamente all'America latina, terra di
angoscia e di speranza - ricordava Mons. Carraro-. Vi intravide un
immenso campo, aperto ad ogni forma di carità... fame,
povertà estrema, penuria di medicine ... situazioni umane le
più arretrate, sottosviluppo culturale il più
basso... E tanta possibilità di seminare in un buon
terreno... Le prese davvero una santa febbre dell'America Latina,
che si trasmise alle altre sorelle volontarie".
Iniziarono così le "spedizioni" in America Latina a partire
dall'aprile del 1964. Quali le situazioni preferite da Lucia ?
Quelle più disagiate: tra gli alagados su palafitte nel
Nordest del Brasile, e nel cuore dell'Amazzonia tra gli indios.
Fu nel 1971 che mamma Lucia, dallo stato del
Maranhão, si spostò in Amazzonia. Andare a
vivere in un villaggio come quello di Feijoal- ricorda una
Volontaria - significava "entrare" nella foresta, abitare lungo una
delle tante anse di un fiume, tra Indios che non parlavano il
portoghese, ma il tikuna. Significava vivere lontani dai primi
centri abitati, dalla stessa parrocchia. Niente luce, niente acqua
in casa: ma soprattutto voleva dire entrare in un'altra
cultura.
Con questa scelta dell'Amazzonia Lucia continuava
quell'immersione nel cuore del mondo che l'ha sempre
guidata, spinta dall'urgenza interiore di "mergulhar"
(tuffarsi) dentro ogni fragilità umana, nella misura in cui
si sa entrare "sempre più in profondità di relazione
con Dio, costi quel che costi" .
L'avventura missionaria di Lucia e delle sue compagne si inserisce
dentro quella storia che la Chiesa ha sempre vissuto con amore e
ammirazione, e che ha visto tanti missionari e missionarie in
questa regione, tra fiumi e foreste, offrire la loro vita per amore
di Gesù Cristo e dei popoli amazzonici. Uomini e donne che
hanno vissuto in quei posti fino alla fine e là giacciono
sepolti. "Storie eroiche ed esemplari. Semi di un futuro più
umano e cristiano... La testimonianza profetica continua ad essere
coraggiosa e viva nella Chiesa dell'Amazzonia" (Card. Claudio
Hummes)
Tra i testimoni, ancora viventi, non possiamo dimenticare la
volontaria della carità Felicita Casti che
ha trascorso 31 anni tra gli indios Tikuna.
In una lettera del luglio 1972 Lucia Schiavinato manifesta lo
stupore per quel misterioso disegno divino che l'ha portata in
Amazzonia: "Di fronte a questa immensità di natura, acqua e
foresta e di popolo che non ha né scuole, né prete,
né medico, nessuno che viva per loro, il piano stabilito con
Luisa e Isaltina (c'è Felicita con me, grazie a Dio) questo
piano mi sembra un disegno stabilito da Dio da sempre.. .Io sarei
gratissima al Signore se mi lasciasse qui sempre".
Ora che le spoglie di Lucia si trovano nella cappella del Piccolo
Rifugio di San Donà, là vi è un affresco dove
è rappresentato anche un bambino indio: quasi a dire che il
cuore di Lucia riposa per sempre in quella terra che ha tanto
amato.
Don Antonio Guidolin